di Gianbattista Tagliani @gian2910
Bene, abbiamo accettato dunque l’idea che non ci sia più spazio o ragion d’essere per le ideologie, in politica.
La contrapposizione ideologica, oggi, è spesso percepita come un’inutile perdita di tempo retro, che altro non produce se non ulteriori danni in un quadro già compromesso. Ne ho già parlato dunque non mi ripeto. D'altronde questo restyling della politica globale è un processo forzato indotto dal sistema finanziario e da quello istituzionale transnazionale con il progressivo de potenziamento dei Governi. Sintetizzando brutalmente: ogni tavolo ha le proprie regole. Se ci si siede per giocare le regole vanno accettate preventivamente. C’è dunque molto poco spazio di manovra per l’iniziativa di un singolo paese se questo è inserito in un network di stati, regolamentati da istituzioni sovra nazionali. E’ un po’ il concetto di una holding. Una controllata avrà senz'altro un margine d’azione ma mai in contrapposizione agli interessi complessivi del gruppo, tutelati dalla holding. Se dunque accettiamo di far parte del G20, dell’UE, della Zona Euro, dell’OCSE e via discorrendo, il nostro margine d’azione ha dei precisi confini. In tanti, evocando un sussulto della politica, hanno ventilato ipotesi di rotture di accordi, uscite da patti o unioni, ignorando volontariamente il fatto che sia ormai troppo tardi.
La soluzione per “salvare” la politica dall'estinzione e ridisegnarla perché operi più efficacemente nel contesto attuale è quella dei “Business Plan”.
Ora mi spiego.
Qualche anno fa in occasione di una campagna elettorale nazionale un candidato sorprese tutti, in diretta tv, offrendosi di firmare un contratto con gli italiani, un contratto che avrebbe suggellato il suo impegno formale a realizzare la rivoluzione liberale. In seguito si capì che il contratto non era altro che una trovata spettacolare, purtroppo, ma oggi potrebbe essere recuperato ed adattato a piattaforma condivisa di confronto elettorale dei candidati. Oggi si tende a considerare i cittadini come azionisti piuttosto che elettori, ed in quanto azionisti dovrebbero avere modo di valutare un piano industriale, prima di indicare quale sia il più gradito.
I candidati A e B, sapendo di disporre di un budget pari a X dovranno proporre il loro piano evidenziando, ad esempio, in quali comparti concentreranno risorse e sforzi , palesando, al contempo, quali saranno i sacrifici necessari al raggiungimento degli obiettivi.
Così potremo scegliere tra il candidato A che punterà su industria, trasporti e infrastrutture (sacrificando sanità, ambiente e politiche migratorie) e il candidato B che punterà su politiche comunitarie, istruzione e cultura (sacrificando industria, TLC e occupazione). Quali che siano le scelte dei concorrenti alla poltrona di Premier, gli effetti delle stesse saranno quanto meno percepibili dall'elettore, che potrà votare non solo chi gli assicura il risultato migliore nel comparto che gli interessa ma anche quello che, (ipoteticamente) a parità di risultato gli prospetta il sacrificio minore.
Bene, abbiamo accettato dunque l’idea che non ci sia più spazio o ragion d’essere per le ideologie, in politica.
La contrapposizione ideologica, oggi, è spesso percepita come un’inutile perdita di tempo retro, che altro non produce se non ulteriori danni in un quadro già compromesso. Ne ho già parlato dunque non mi ripeto. D'altronde questo restyling della politica globale è un processo forzato indotto dal sistema finanziario e da quello istituzionale transnazionale con il progressivo de potenziamento dei Governi. Sintetizzando brutalmente: ogni tavolo ha le proprie regole. Se ci si siede per giocare le regole vanno accettate preventivamente. C’è dunque molto poco spazio di manovra per l’iniziativa di un singolo paese se questo è inserito in un network di stati, regolamentati da istituzioni sovra nazionali. E’ un po’ il concetto di una holding. Una controllata avrà senz'altro un margine d’azione ma mai in contrapposizione agli interessi complessivi del gruppo, tutelati dalla holding. Se dunque accettiamo di far parte del G20, dell’UE, della Zona Euro, dell’OCSE e via discorrendo, il nostro margine d’azione ha dei precisi confini. In tanti, evocando un sussulto della politica, hanno ventilato ipotesi di rotture di accordi, uscite da patti o unioni, ignorando volontariamente il fatto che sia ormai troppo tardi.
La soluzione per “salvare” la politica dall'estinzione e ridisegnarla perché operi più efficacemente nel contesto attuale è quella dei “Business Plan”.
Ora mi spiego.
Qualche anno fa in occasione di una campagna elettorale nazionale un candidato sorprese tutti, in diretta tv, offrendosi di firmare un contratto con gli italiani, un contratto che avrebbe suggellato il suo impegno formale a realizzare la rivoluzione liberale. In seguito si capì che il contratto non era altro che una trovata spettacolare, purtroppo, ma oggi potrebbe essere recuperato ed adattato a piattaforma condivisa di confronto elettorale dei candidati. Oggi si tende a considerare i cittadini come azionisti piuttosto che elettori, ed in quanto azionisti dovrebbero avere modo di valutare un piano industriale, prima di indicare quale sia il più gradito.
I candidati A e B, sapendo di disporre di un budget pari a X dovranno proporre il loro piano evidenziando, ad esempio, in quali comparti concentreranno risorse e sforzi , palesando, al contempo, quali saranno i sacrifici necessari al raggiungimento degli obiettivi.
Così potremo scegliere tra il candidato A che punterà su industria, trasporti e infrastrutture (sacrificando sanità, ambiente e politiche migratorie) e il candidato B che punterà su politiche comunitarie, istruzione e cultura (sacrificando industria, TLC e occupazione). Quali che siano le scelte dei concorrenti alla poltrona di Premier, gli effetti delle stesse saranno quanto meno percepibili dall'elettore, che potrà votare non solo chi gli assicura il risultato migliore nel comparto che gli interessa ma anche quello che, (ipoteticamente) a parità di risultato gli prospetta il sacrificio minore.