di Gianbattista Tagliani @gian2910
Il 26 Settembre scorso il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato per mano di Ben Quinn un'indiscrezione su un cambio di strategia mediatica del Ministero della Difesa di sua Maestà la Regina.
Il primo passo sarà quello di moderare il profilo cerimoniale del rientro delle salme dei caduti in azione nei vari scenari dove le forze armate inglesi sono coinvolte.
La seconda proposta suona come un'imbeccata dei cugini USA: graduale disimpegno di forze regolari e maggior coinvolgimento di contractors, veicoli privi di insegne e forze speciali.
Un thinktank del Ministero della Difesa infatti avrebbe evidenziato come l'opinione pubblica sia meno turbata in caso di vittime tra i reparti d'elite o tra mercenari.
Le prime reazioni da parte delle famiglie dei caduti sono state piuttosto aspre; Deborah Allbutt, moglie di Stephen caduto sotto fuoco amico, nel 2003 in Iraq ha bollato il new deal mediatico inglese come "nascondere la polvere sotto al tappeto, mortificando chi è pronto a dare la vita per il proprio paese".
Il documento, redatto dal Centro Concetti e Dottrina, definendo gli stadi del piano di riforma della comunicazione della Difesa, "mirato alla riduzione dell'emotività del pubblica per le perdite in operazioni militari, deve inculcare la convinzione che combattere possa comportare sacrifici e perdite e che questi rischi sono assunti consapevolmente e volontariamente come parte del proprio impegno professionale".
La reticenza dell'opinione pubblica inglese all'ipotesi di un coinvolgimento nel conflitto siriano ha suggerito un'ulteriore accorgimento. Il documento del DCDC infatti sottolinea come le ragioni del coinvolgimento in un conflitto devono "essere diffuse al pubblico in modo chiaro".
Sempre lo studio infatti rileva che forze armate e Governo siano stati ingannati da un presupposto errato secondo cui il pubblico sarebbe diventato "meno propenso al rischio" in seguito alle campagne di Iraq e Afghanistan.
"Storicamente, una volta che si è convinto il pubblico che c'è un interesse alla base del conflitto, questo è più disponibile a sostenere i rischi e ad accettare l'eventualità di vittime come conseguenza dell'uso della forza."
A sostegno di questa tesi sono stati ricordati i dati relativi ad un robusto consenso in altri conflitti del passato come il conflitto delle Falkland e le operazioni in Irlanda del Nord. "Qualora l'opinione pubblica, non sia convinta della valenza, a tutela del proprio benessere, dello sforzo bellico, sarà meno incline ad accettare che feriti o vittime facciano parte del gioco"
Il documento prosegue aggiungendo che "Il pubblico è più informato, così come il nemico ha imparato a sfruttare i nuovi media e dunque convincere il popolo della necessità di accettare i rischi di un conflitto è diventato più difficile e non di meno essenziale".
Leggere di questo rapporto, collocandolo in un contesto più generale di nuovi equilibri geopolitici, non può non indurre una certa inquietudine.
Gli USA la nazione, storicamente più propensa e impegnata in campagne belliche, oggi è in piena fase evolutiva.
Grazie all'autosufficienza energetica, recentemente acquisita, sono in fase di ridefinizione di obiettivi e strategie geopolitiche. Ma soprattutto, per la prima volta nella storia contemporanea, è oggetto di dibattito il ruolo degli USA come supremo custode e promotore della libertà.
Questo sembrerebbe essere il fondamento del forte impulso che l'Amministrazione Obama ha dato all'uso di droni o forze speciali per "eliminazioni chirurgiche" del nemico. Un nemico non più identificabile come espressione di una nazione ma piuttosto una rete di individui accomunati da un'unica missione.
L'inquietudine citata poco fa nasce dal rilievo che lo spirito che anima questa "rivoluzione comunicazionale" della Difesa somigli molto allo spirito che ha determinato il restyling mediatico delle istituzioni finanziarie uscite malconce dalla crisi del 2008.
Prima della crisi la matematica finanziaria, la scienza preposta all'invenzione di nuove soluzioni d'investimento, si atteneva ai principi della scuola classica. Un modello matematico chiuso (a variabili impreviste) fondato su una sequenza logica di cause ed effetti sostenuta da dati statistici compilativi e previsionali.
Sono sintesi giornalistiche, non quelle di un esperto di statistica o matematica finanziaria ma sono il frutto di domande e risposte rivolte e condivise con veri sapienti del settore.
La crisi del 2008, oltre agli effetti sull'economia reale ha indotto il sistema finanziario, all'epoca sul banco degli imputati mediatici (ahimè mai su quello di un'aula di tribunale) a rifarsi il trucco. E' iniziata ad emergere una nuova scuola di pensiero matematico finanziario. Una scuola che non ignorava variabili imprevedibili, come la scuola classica, ma che addirittura non le prevedeva soltanto. Si fonda infatti, sull'assunto che eventi imprevedibili (cigni neri), anche fortemente negativi, se considerati con distacco in quanto eventi rari ma statisticamente prevedibili, possono essere letti anche come opportunità.
Un infusione d'ottimismo per le masse. Un'occasione per dar libero sfogo a bramosia ed ingordigia per le elites danarose transnazionali.
La seconda Guerra del Golfo infatti, oltre che una ghiotta occasione, per pochi happy few, di arricchimento smisurato quanto impudico (vedi vicenda appalti Haliburton), è stata anche propulsore e motore di tutta un'era di relativa prosperità e stabilità economica americana.
Quello del Ministero della Difesa Inglese, sarà dunque solo uno degli step di una strategia più complessa secondo cui, non è tanto questione di celebrare il sacrificio dei soldati caduti o di onorarne la memoria, ma piuttosto una tappa del percorso che porterà i popoli ad interpretare un "cigno nero" (come un conflitto od un attacco terroristico) un'opportunità, un impulso positivo mirato ad un obiettivo riconosciuto e condiviso: la crescita del benessere?
Quattordici giorni dopo aver pubblicato questo articolo, sono incappato in quest'altro pezzo sul tema che vi cito per approfondimenti
Il Daily Mail dell'11 Ottobre 2013
Il 26 Settembre scorso il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato per mano di Ben Quinn un'indiscrezione su un cambio di strategia mediatica del Ministero della Difesa di sua Maestà la Regina.
Il primo passo sarà quello di moderare il profilo cerimoniale del rientro delle salme dei caduti in azione nei vari scenari dove le forze armate inglesi sono coinvolte.
La seconda proposta suona come un'imbeccata dei cugini USA: graduale disimpegno di forze regolari e maggior coinvolgimento di contractors, veicoli privi di insegne e forze speciali.
Un thinktank del Ministero della Difesa infatti avrebbe evidenziato come l'opinione pubblica sia meno turbata in caso di vittime tra i reparti d'elite o tra mercenari.
Le prime reazioni da parte delle famiglie dei caduti sono state piuttosto aspre; Deborah Allbutt, moglie di Stephen caduto sotto fuoco amico, nel 2003 in Iraq ha bollato il new deal mediatico inglese come "nascondere la polvere sotto al tappeto, mortificando chi è pronto a dare la vita per il proprio paese".
Il documento, redatto dal Centro Concetti e Dottrina, definendo gli stadi del piano di riforma della comunicazione della Difesa, "mirato alla riduzione dell'emotività del pubblica per le perdite in operazioni militari, deve inculcare la convinzione che combattere possa comportare sacrifici e perdite e che questi rischi sono assunti consapevolmente e volontariamente come parte del proprio impegno professionale".
La reticenza dell'opinione pubblica inglese all'ipotesi di un coinvolgimento nel conflitto siriano ha suggerito un'ulteriore accorgimento. Il documento del DCDC infatti sottolinea come le ragioni del coinvolgimento in un conflitto devono "essere diffuse al pubblico in modo chiaro".
Sempre lo studio infatti rileva che forze armate e Governo siano stati ingannati da un presupposto errato secondo cui il pubblico sarebbe diventato "meno propenso al rischio" in seguito alle campagne di Iraq e Afghanistan.
"Storicamente, una volta che si è convinto il pubblico che c'è un interesse alla base del conflitto, questo è più disponibile a sostenere i rischi e ad accettare l'eventualità di vittime come conseguenza dell'uso della forza."
A sostegno di questa tesi sono stati ricordati i dati relativi ad un robusto consenso in altri conflitti del passato come il conflitto delle Falkland e le operazioni in Irlanda del Nord. "Qualora l'opinione pubblica, non sia convinta della valenza, a tutela del proprio benessere, dello sforzo bellico, sarà meno incline ad accettare che feriti o vittime facciano parte del gioco"
Il documento prosegue aggiungendo che "Il pubblico è più informato, così come il nemico ha imparato a sfruttare i nuovi media e dunque convincere il popolo della necessità di accettare i rischi di un conflitto è diventato più difficile e non di meno essenziale".
Leggere di questo rapporto, collocandolo in un contesto più generale di nuovi equilibri geopolitici, non può non indurre una certa inquietudine.
Gli USA la nazione, storicamente più propensa e impegnata in campagne belliche, oggi è in piena fase evolutiva.
Grazie all'autosufficienza energetica, recentemente acquisita, sono in fase di ridefinizione di obiettivi e strategie geopolitiche. Ma soprattutto, per la prima volta nella storia contemporanea, è oggetto di dibattito il ruolo degli USA come supremo custode e promotore della libertà.
Questo sembrerebbe essere il fondamento del forte impulso che l'Amministrazione Obama ha dato all'uso di droni o forze speciali per "eliminazioni chirurgiche" del nemico. Un nemico non più identificabile come espressione di una nazione ma piuttosto una rete di individui accomunati da un'unica missione.
L'inquietudine citata poco fa nasce dal rilievo che lo spirito che anima questa "rivoluzione comunicazionale" della Difesa somigli molto allo spirito che ha determinato il restyling mediatico delle istituzioni finanziarie uscite malconce dalla crisi del 2008.
Prima della crisi la matematica finanziaria, la scienza preposta all'invenzione di nuove soluzioni d'investimento, si atteneva ai principi della scuola classica. Un modello matematico chiuso (a variabili impreviste) fondato su una sequenza logica di cause ed effetti sostenuta da dati statistici compilativi e previsionali.
Sono sintesi giornalistiche, non quelle di un esperto di statistica o matematica finanziaria ma sono il frutto di domande e risposte rivolte e condivise con veri sapienti del settore.
La crisi del 2008, oltre agli effetti sull'economia reale ha indotto il sistema finanziario, all'epoca sul banco degli imputati mediatici (ahimè mai su quello di un'aula di tribunale) a rifarsi il trucco. E' iniziata ad emergere una nuova scuola di pensiero matematico finanziario. Una scuola che non ignorava variabili imprevedibili, come la scuola classica, ma che addirittura non le prevedeva soltanto. Si fonda infatti, sull'assunto che eventi imprevedibili (cigni neri), anche fortemente negativi, se considerati con distacco in quanto eventi rari ma statisticamente prevedibili, possono essere letti anche come opportunità.
Un infusione d'ottimismo per le masse. Un'occasione per dar libero sfogo a bramosia ed ingordigia per le elites danarose transnazionali.
La seconda Guerra del Golfo infatti, oltre che una ghiotta occasione, per pochi happy few, di arricchimento smisurato quanto impudico (vedi vicenda appalti Haliburton), è stata anche propulsore e motore di tutta un'era di relativa prosperità e stabilità economica americana.
Quello del Ministero della Difesa Inglese, sarà dunque solo uno degli step di una strategia più complessa secondo cui, non è tanto questione di celebrare il sacrificio dei soldati caduti o di onorarne la memoria, ma piuttosto una tappa del percorso che porterà i popoli ad interpretare un "cigno nero" (come un conflitto od un attacco terroristico) un'opportunità, un impulso positivo mirato ad un obiettivo riconosciuto e condiviso: la crescita del benessere?
Quattordici giorni dopo aver pubblicato questo articolo, sono incappato in quest'altro pezzo sul tema che vi cito per approfondimenti
Il Daily Mail dell'11 Ottobre 2013