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Pacificazione per il futuro

Ogni giorno cresce la tensione sociale legata alla congiuntura economica ed ai problemi interni di ciascuna nazione. L'Italia resta un caso a se perché le cause dei problemi non si conoscono mai e soprattutto le soluzioni proposte sono sistematicamente inefficaci in quanto caricate di significati politici che ne distorcono portata ed effetti. Il 6 Giugno 2013 è stato convertito in legge il Dl 35 dell'8 Aprile 2013, recante: "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché  in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.". Sia il decreto di Aprile che la sua conversione in legge di Giugno sono stati accompagnati da una massiccia attività di comunicazione istituzionale: la politica non se ne sta con le mani in mano e consapevole dell'ormai gravissima difficoltà in cui versano le PMI (in particolare le "P-iccole", dà fiato al sistema produttivo per avviare la ripresa. 

Ebbene cosa è accaduto?

L'ANCE ha istituito un monitoraggio dell'attuazione del decreto (http://media.teknoring.it/file/news/17475_171581.pdf).

Le cifre stanziate sono difficilmente misurabili perché ad esempio in Campania "una quota non specificata degli 1,45 miliardi di anticipazione di liquidità ottenuta dalla Regione Campania per rimborsare i debiti (non sanitari) verso le aziende dovrà infatti essere stornata dalla assegnazione originaria e destinata al piano di rientro per il trasporto ferroviario locale previsto dal decreto sviluppo di un anno fa." (cit. Sole 24 Ore 28 Giugno 2013) Tralasciando però gli aspetti tecnici, la situazione, de facto, per le imprese italiane è immutata, se non peggiorata perché come gergalmente si usa dire che "oltre al danno si aggiunge la beffa", ed in questo caso letteralmente di beffa si tratta. 
La maggioranza dei cittadini, contribuenti, elettori e cittadini attivi, non può conoscere nel concreto quali siano le procedure previste per il pagamento di un fornitore della PA. Ricostruiamone l'iter: la PA richiede al mercato l'erogazione di un "dato" servizio. Si attiva dunque a verificare quanti siano i potenziali offerenti e li invita a gara. Nell'ipotesi in cui il potenziale offerente sia uno solo, procede con la negoziazione di un contratto con quel soggetto. Una volta individuato il fornitore, la PA procede con la verifica del possesso dei requisiti da parte del soggetto e dunque alla stipula. E' doveroso precisare che queste procedure durano dai 6 mesi ai 2 anni  lasso di tempo in cui un'impresa che ha investito per strutturarsi tale da soddisfare l'esigenza della PA, non lavora e non incassa.

Qui nasce il primo interrogativo: quale impresa se lo può permettere?

Una volta poi stipulato il contratto l'impresa inizia a lavorare. Mediamente il compenso per il servizio viene corrisposto a canoni trimestrali (per i più fortunati o "abili" in termini negoziali) o alla fine del periodo, previa certificazione (sempre della PA) della regolare esecuzione di quanto previsto dal contratto. Ma ecco il punto dolente. Saldi trimestrali, posticipati a 60/90 gg data fattura (i famosi 30gg di limite massimo sono relativi ai soli contratti tra privati, salvo diversa pattuizione), significa che un'impresa che inizia ad erogare un servizio e dunque a sostenere costi, deve anche pagare tasse e contributi sul tutto, sin dall'inizio del contratto. Riassumendo dunque, un contratto dal 1 Gennaio al 31 Dicembre che prevede saldi trimestrali posticipati a 60/90gg data fattura, comporta che un'impresa dal 30 Gennaio paga (oltre ai costi di gestione), contributi e tasse, allo stato, auspicando (causa ritardi nei pagamenti) di incassare a Maggio quanto le spetta. La PA che nel frattempo riceve un servizio è CONSAPEVOLE che se l'impresa, al momento del saldo, essendo ormai trascorsi 5 mesi dall'inizio dell'erogazione, non fosse riuscita a far fronte a tutti gli adempimenti previsti, NON INCASSERÀ  QUANTO LE SPETTA, QUANDO LE SPETTA. 

Qui il secondo interrogativo: perché un'impresa, che per definizione ha come obiettivo il lucro, dovrebbe fare della beneficenza alla PA senza neanche un grazie, anzi col rischio di sanzioni PENALI?

Per concludere, un ultimo "aneddoto tipo": è prassi ormai consolidata che le emanazioni della PA si aspettino che i fornitori siano disponibili a lavorare "sulla parola", causa le ben note lungaggini della burocrazia italiana. Una "parola" certamente non eterna ma senz'altro ritardata. E in quei ritardi è ovvio che dovendo prima pagare e poi (forse) incassare le imprese accumulano irregolarità fiscali e contributive 

Ultimo interrogativo: quelle imprese che si prestano alla prassi appena descritta, perché devono accettare di rischiare di NON INCASSARE MAI per il servizio prestato? 

Dopo tre interrogativi una proposta: essendo la parola "condono", per gli italiani, più disgustosa di una bestemmia, proviamo a rinominare lo stesso concetto col termine "pacificazione". Sotterriamo tutti quanti l'ascia di guerra e impegniamoci tutti assieme a riattivare il sistema economico, tutti consapevoli e vincolati all'impegno preso che, pacificati sul pregresso, nessuna violazione, irregolarità o come la si voglia chiamare, sarà più tollerata dal presente in avanti.

di Gianbattista Tagliani

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