di Gianbattista Tagliani
Mentre la natura si sta risvegliando dopo il piovosissimo inverno, si prepara a sbocciare anche il nuovo assetto politico italiano. Ad oggi la partitocrazia si articola in sette schieramenti: Destra Sociale, Centrodestra, Lega, Centro, Centrosinistra, Sinistra e Sinistra extraparlamentare. Questa straordinaria ricchezza di posizioni è impreziosita dall’unicità italica di avere rappresentanti di ciascuno schieramento all’interno di tutti gli stessi. Quando ero poco più di un bambino ascoltavo gli adulti parlare delle correnti DC e PC e mi chiedevo come potesse far parte di un partito confessionale conservatore, una persona che pubblicamente veniva riconosciuto come un laico riformista o come potesse un moderato cattolico far parte del Partito Comunista Italiano. Crescendo non sono ancora riuscito a trovare altra risposta se non un’allusiva ma confusa battuta: “E’ la natura della politica”.
Tornando all’oggi, i sette schieramenti così variamente compositi non sono altro che la trasposizione aggiornata delle correnti degli anni 80. Hanno tutti cambiato nome, tanto che il più antico partito italiano è la Lega Nord, tanto antico da non avere neanche l’età per votare al Senato (Il Mov. Lega Nord è nato nell’89) Questa eterogeneità di istanze in ciascun partito ha progressivamente limato, fino ad eliminarle, le ideologie, le tradizioni e le “scuole” . Militanti, eletti o anche semplici attivisti hanno perso i punti di riferimento e il senso d’appartenenza.
Su cosa, dunque, si poteva basare la scelta di un elettore, se non sulla conoscenza diretta dei candidati, ragioni clientelari o vaghe epidermiche simpatie? Nulla.
Tanto è vero che, dopo che Tangentopoli ha spazzato via la prima repubblica favorendo un rinnovamento della classe politica e del sistema partitico, oggi stiamo assistendo con sostanziale disinteresse alla fine della seconda, ma con molta meno attesa per il dopo. Non si attende più. Urge.
L’unica via è quella del recupero delle idee, delle ideologie, delle identità e dell’orgoglio d’appartenenza. Quando mi iscrissi ad un partito politico in gioventù, ero fiero della mia scelta quanto entusiasta all’idea di rafforzarla studiando la storia del partito, conoscendo le persone e condividendone la vita con gli altri iscritti.
Dopo poche settimane mi sono dimesso perché non avevo conosciuto nessuno, imparato nulla e condiviso anche meno, seppur avessi partecipato a decine di incontri per stabilire chi dovesse esser tesoriere, chi capo di questo o di altro. Questo accadeva però 19 anni fa.
Le nuove figure di oggi, non i volti ma le figure vere e proprie, posso finalmente restituire un assetto politico stabile all’Italia. La soluzione ideale sarebbe al’Inglese che con 3 grandi movimenti che garantirebbero anche una sana alternanza. Ma ciascun paese ha la propria storia e le proprie identità. In Italia perché non possiamo avere un grande partito moderato/conservatore, uno laico riformista e le due ali a destra e sinistra, le famose ali che il Premier Monti avrebbe voluto zittire. Matteo Renzi abbia il coraggio di rompere le fila e di mettersi alla guida di un grande movimento riformatore. Questo spingerebbe in automatico le “correnti” di sinistra del PD a riorganizzarsi in una vera sinistra e spingerebbe al contempo il centro destra ad accelerare il processo di successione alla leadership di Berlusconi, non sulla base del gradimento del leader uscente ma sull’identificazione leader/azione.
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