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Chi si farà governare?



di Gianbattista Tagliani

Dal 26 Febbraio l’Italia è in vero fermento.
Il voto non ha prodotto ancora un governo capace di ottenere la fiducia sul programma proposto. Tanto da spostare l’asse dell’attenzione da chi ci governerà a chi sarà disposto a farsi governare.
Quanti fra i tutti vorranno legittimare l’esercizio del potere del nuovo governo e quanti si renderanno disponibili ad esser disciplinati e regolamentati da una maggioranza che anche in caso di accordo M5S – PD sarà comunque l’espressione di voto di non più della metà degli italiani (il 50% del 75% dei votanti).
I primi passi del M5S stanno facendo filtrare un sentiment, questo si, davvero rivoluzionario. Ogni regola precostituita è sindacabile e di conseguenza rivedibile. Ragionando in questo modo le regole si svuotano del proprio contenuto coercitivo .
Anche solo il fatto che si stia animando un dibattito sulla “Prorogatio” del governo uscente è un sintomo dell’infezione.
Chi, in una conversazione qualsiasi, richiama le regole formali delle dinamiche istituzionali viene diffusamente squalificato a rango di reazionario retrò
La Prorogatio per tornare al riferimento di poco fa, ad una lettura superficiale suona come una soluzione all’Italiana dell’impasse. Sarebbe dunque senz’altro opportuna una riflessione su come si stia evolvendo il sentir comune italico.

La passione e lo spirito con cui oggi, ovunque, si ascoltano cittadini dibattere di politica, come non accadeva da decenni, deve essere bilanciata da esperienza e sapere. La problematica si riscontra nel fatto dibattono di politica i cittadini e basta. La classe politica non si riesce a schiodare dall’ossessione della leadership riconosciuta e riverita. Ma non è la leadership il cuore dell’emergenza . Dalle moltissime interviste a passanti fatte prima e dopo il voto se ne evince che il successo di Grillo è sintetizzabile in due frasi:
- Grillo dice le cose come stanno
- Grillo parla di temi reali ed attuali

Questa tornata elettorale ha registrato una netta bocciatura della linea “secolarizzata” del PD, tanto che i più contestano che la linea si del tutto assente.
Il PDL furbescamente cerca di raccontare il voto come un subliminale trionfo, quando in realtà non è che una “quasi” tenuta fortunosa.

Entrambi i grandi partiti sono totalmente fuori sincrono con la realtà, tanto da non capacitarsi delle differenze evidenti, intrinseche ed estrinseche con il loro partiti di riferimento all’estero. Ora più che unirsi per scacciare l’invasore, non sarebbe il caso che i partiti si rileggano al loro interno e recuperino il tempo perduto? Se questo non accadesse allora si che il rischio eversione sarebbe reale.

Queste esitazioni, questi vuoti ideologici e culturali sono il terreno più fertile possibile per il radicamento del sentiment di relatività assoluta che nulla produce se non la delegittimazione del potere da chiunque sia esercitato ed una risposta “nessuno” alla domanda “Chi sarà disposto a farsi governare?” .

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